Chi è un po’ più appassionato di musica e amante della tradizione leggera italiana certamente ricorda che questa è una famosissima frase dalla celeberrima Terra dei cachi di Elio e le storie tese. Credo però che sia anche un tormentone valevole per tutte le tornate referendarie. Sono convinto che sia valido anche e specialmente in questi casi per due ragioni: una è molto semplice ed è nel fatto che per qualsiasi natura di questione referendaria la scheda sta in una domanda e la risposta è o nel Sì o nel No; la seconda è più profonda e riguarda alla radice la constatazione che, vista la presentazione di quella scheda, tutta la campagna informativa diventa pura questione di chi dice Sì e di chi dice No, in cui chi dice Sì è pragmatico e laborioso e chi dice No è vanitoso e puntiglioso. Ovviamente dietro c’è molto di più.
Oggi siamo chiamati a esporci su una questione già ripresa, ma che in questo momento non deve più essere considerata come vitale dalle forze politiche. Non voglio essere frainteso, negando che il tema democratico della rappresentanza e del parlamentarismo sistematico sia un argomento di cui non si deve parlare, ma proprio perché serve lucidità non si devono sprecare mesi per affogare in un mare magnum che la popolazione alla base non avverte come problemi. Il taglio dei parlamentari, sul quale saremo chiamati a pronunciarci, sta scuotendo in modo imperturbabile la maggioranza dando prova di effetti che non si dovevano già vedere prima del Covid. Lo fa su due questioni su cui é il caso di pronunciarsi e lavorare con mente lucida e spirito propositivo. Una che è un tema in questo momento tornato ad un’osservazione più attenta è lo spinosissimo nodo della legge elettorale. Se già alle elezioni politiche del 2018 c’era un problema legato al sistema con cui si andava a votare, oggi la questione si allarga perché si va a ritoccare in maniera non indifferente la rappresentanza. Con una riduzione dei parlamentari in questo senso ed una legge elettorale maggioritaria o che prevede un sistema misto c’è il rischio quasi certo della compressione della rappresentanza politica e territoriale di alcune aree del paese. Se si pensa già solo a una proposta di riforma elettorale che prevedeva lo sbarramento al 5%, il tema della rappresentanza politica è caldo. Al contempo la rappresentanza territoriale subirebbe un oltraggio soprattutto nell’elezione al Senato per delle aree che diventerebbero troppo vaste e con pochi rappresentanti. Sarebbe stato giusto già imbastire un lavoro propositivo con tutte le forze della maggioranza per realizzare quel progetto di legge che sta nel quadro proporzionale e che permetta di riformulare la rappresentanza territoriale.
La seconda questione entro cui il referendum confermativo sulla riduzione dei parlamentari si muove risiede in motivi molto ingegneristici ma non secondari. L’argomento costituzionale deve essere affrontato con lucidità e propositività e, in virtù di queste premesse, questa riforma avrebbe dovuto trovare migliore collocazione in un ridisegno complessivo della struttura statale. Oggi i livelli istituzionali, seppur alcuni non completamente chiari per titoli e competenze, dovrebbero essere sei. In ciascuno di questi a ben pensare manca una definizione e mancano talvolta di una specifica competenza. I limiti dell’attuale sistema sono nell’accentramento del potere in luoghi ampi e ingovernati e nell’abbondanza di figure all’interno del panorama istituzionale.
Una presa di posizione sulla questione deve essere ponderata e, se già non era gradito prima, nuoce ancora più ora sentire oggi sermoni sul taglio della democrazia da chi sosteneva che servisse cambiare l’impianto costituzionale per favorire il presidenzialismo e il Patto della Nazione.
Se la società oggi va verso la perenne ricerca di un capro espiatorio a cui scaricare la colpa della crisi economica e produttiva sempre più ingente e della crisi politica incessante da più di due decenni, non è colpa della fatalità o del casuale destino, ma piuttosto di chi ha voluto usare le occasioni per sacrificare e scarnire il dibattito su questioni vitali.
Senza dubbio si comprendono i compagni e gli amici che lamentano la carenza di una visione che approfondita e uno sviluppo degli argomenti meno antipolitico e più innovatore e riformista.
Oggi è necessario un aggiornamento dell’ordinamento dello Stato alla luce di due fatti: l’esplosione delle contraddizioni che il “riformismo della 17a legislatura” ha portato aventi e un dibattito serio sulla rappresentanza e sulle competenze. Il primo dato è evidenziato dagli ultimi mesi di pandemia. Si sono visti da un lato i peggiori comportamenti degli enti locali, che in alcuni casi erano già preoccupati alla prossima competizione elettorale. Al di là del Covid, si sta dimostrando sempre più come il reale taglio della democrazia sia in parte già avvenuto con l’abolizione delle province, non votate dal popolo, in alcuni casi ancora attive, in altri rimpiazzate dall’area metropolitana con un consiglio nominato dai consiglieri del comune capoluogo. Il secondo tocca anche le problematicità che il periodo dei “più bravi riformisti del mondo” - così amavano definirsi - ha lasciato; tre anni fa con la riforma Boschi si andava a pasticciare con mano decisa il ruolo delle camere e si doveva andare costituendosi una figura particolarmente bizzarra come il sindaco d’Italia, aprendo le vie al presidenzialismo, oggi, se non si smuovono le acque, c’è il rischio concreto che dentro a un sistema di equilibrio e in un sistema di poteri indebolito ritorni a galla l’ipotesi di un percorso alternativo e non poco pericoloso.
Fatte queste considerazioni, andiamo a votare e attendiamo il 22 settembre perché l’attualità è che siamo di fronte a un possibile autunno caldo per la rabbia sociale che si potrebbe verificare e per una crisi che necessita di un investimento più forte addirittura del piano Marshall e il capro espiatorio rimane sempre più la politica quando questa deve essere vista ancora di più come l’incaricata di comprendere le situazioni e risolverle.
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