Quando la politica aveva ideali - buon compleanno PCI!

21 gennaio 1921: a Livorno, durante il XVII congresso del Partito Socialista Italiano, esponenti

dell’ala sinistra di quel partito Antonio Gramsci, Umberto Terracini, Nicola Bombacci, Onorato

Damen, Bruno Fortichiari e Amadeo Bordiga danno vita al Partito Comunista d’Italia come sezione

italiana dell'Internazionale Comunista, in quegli anni inaugurata dal massimo esponente

bolscevico Vladimir Lenin. Si sentono forti gli impulsi dalla Rivoluzione d’ottobre che ispira i

movimenti di operai e lavoratori durante il biennio 1920-1921 presso strutture e fabbriche. Quegli

anni sono pure segnati tristemente per l’avvento di uno dei periodi più bui della storia italiana che

sconvolgerà anche gli eventi di tutto il mondo. È coincidente infatti con l’inizio del fascismo, che,

con le leggi del 1925-1926, porrà in clandestinità tutti i partiti opposti a quello del regime. Fino al

1943 i comunisti saranno costretti alla clandestinità e, assieme alle forze del CLN, si renderanno

protagonisti della resistenza partigiana e della liberazione dalla guerra e dalla dittatura.

Dal primo dopoguerra fino a quella svolta della Bolognina nel 1991, il Partito Comunista Italiano

svilupperà la sua forza nella militanza e con l’idea costante della politica come strumento per

emanciparsi, scegliendo i più poveri e gli strati deboli come punto principale per rendere la società

un posto migliore. Nei suoi settant’anni di attività politica, il PCI si è sempre interrogato e messo in

discussione di fronte alle tendenze e alle spinte che toccavano ogni aspetto della realtà. Si pensi

alla questione cattolica, che in Italia non è solo una scelta religiosa, ma una tradizione consolidata

che accompagna le persone e insegna loro dei valori fondati sull’umanismo e sulla solidarietà. Si

pensi all’autunno caldo degli anni 1968 e 1969, quando le questioni studentesche esplodono il

dibattito e intendono rivoluzionare il sistema. Già lì la militanza giovanile stessa discuteva di come

rispondere a quei coetanei che sollevavano un problema reale. Si pensi alla questione morale,

tema molto caro al segretario più amato di quel partito Enrico Berlinguer, che comincia a porsi

nell’agenda comunista come importante, visti gli sviluppi di un mondo che incomincia piano piano

a dare per scontati quei valori che i padri costituenti non hanno mai smesso di trasmettere e a

trascendere nella cultura del boh e della mera apparenza. Si pensi all’internazionalismo, alla base

dell’ideale comunista, e alla questione europea come domanda cui l’eurocomunismo ha voluto

rispondere.

21 gennaio 2021: la sinistra italiana è di fronte a un periodo di diaspora totale. Negli anni si sono

consumate scissioni talvolta drammatiche, talvolta a causa di leadership personalistiche. La base

sociale di quest’area politica si è allontanata in favore del nazionalismo più becero e del

sovranismo populista. La politica sempre meno è percepita come l’impegno quotidiano nei

confronti del bene comune e con la sacrosanta idea della militanza come risposta alla passività

totale e alla sottomissione ai poteri forti, ma piuttosto è avvertita in termini di carriera e di

obiettivi individuali. La politica si dimostra sempre meno formazione accompagnata

dall’esperienza e dalla saggezza, ma con il paradigma della selezione di ciò che è più forte e più

brillante senza valutare il merito. Nella società sempre più assente è il senso della lealtà e di un

sano confronto, che fa strada all’avvertire nell’avversario un nemico da abbattere, nella classe

sociale o generazionale opposta qualcuno di sadico che toglie opportunità e benefici.

È vero che la società di oggi manca di molti elementi e si dimostra più degradata e più disamorata,

ma ha trovato nuove forme che in parte, giorno dopo giorno, provano a opporsi alla logica della

competizione della selezione del più forte. A questa realtà manca uno strumento valido per

riportare un obiettivo principale: il nuovo Umanesimo. Serve quel partito che sapeva infiammare il

cuore di chi lo votava e di chi si impegnava convinto dell’ideale che se si guarda il mondo con gli

occhi di chi è più indietro si fa un mondo migliore. Serve quel partito che non seleziona personalità

dai gruppi d’interessi da lanciare alla carriera o che non lancia contest sui social per scegliere la

classe dirigente. Serve quel partito che arrivi casa per casa, strada per strada e assieme a chi incontra scriva un programma per l’unica vera alleanza strategica del nuovo secolo: quella per il

Nuovo Umanesimo. Serve quel partito che fin dalle azioni più quotidiane si fa comunità e si fa casa

di accoglienza per tutti. Serve quel partito che difende chi viene sfruttato dai propri datori di

lavoro, chi viene irriso e non viene rispettato nei luoghi scolastici, chi viene discriminato per il

colore della pelle o per l’orientamento sessuale o per il genere. Serve quel partito che si prende

cura della persona nei servizi dell’assistenza nell’accompagnamento al percorso di vita. Serve

soprattutto quel partito consapevole di essere un partito, voglioso di esprimere l’interesse di una

parte, ma di rivoluzionare tutta la realtà in cui opera.

Quando si festeggia una cifra tonda o molto tonda come questa, c’è sempre molta gioia, si vede

sempre che gli attori di quella storia si avvicinano e celebrano quel momento. In questo caso è

diverso. Quella struttura oggi non esiste più, qualcuno racconta che a livello organizzativo e

addirittura superata dal corso del tempo, però dimentica che forse è ciò che le persone vogliono

che ritorni indietro perché erano quelli gli anni in cui tutti potevano contribuire al dibattito e tutti

da lunghe discussioni potevano imparare qualcosa in più.

Questo centenario non deve essere solo un momento di nostalgia o di rammarico, ma deve essere

un momento in cui, dal ricordo delle origini e dall’approfondimento sulle radici, si prova a

riflettere sul presente e sull’opportunità che si deve cogliere.


ripropongo il mio editoriale per AltraVoce (21 gennaio 2021)

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